mercoledì 1 maggio 2024

Essere un cervo può essere...faticoso!


Perrero (TO), Val Germanasca, dicembre 2023.

Testo a cura del Tecnico Faunistico dott. Enrica Chiadò Rana

foto: Giuseppe Martini

Essere un cervo (maschio) certe volte è veramente faticoso, sapete? Io ne so qualcosa, credetemi, e questa è la mia storia.

L’inverno era appena iniziato, e l’erba fresca iniziava oramai a scarseggiare. Durante il mio solito giretto mattutino tra un boschetto ed una radura, mi sono imbattuto in un praticello mai assaggiato prima. Non mi sembrava vero: erba fresca! Di quella verde, rigogliosa e fresca! Niente a che vedere con quella secca e stoppacciosa della radura o con le cortecce legnose che mi tocca mangiare in questo periodo! Mi avvicinai lentamente e, dopo essermi assicurato di non avere compagnia (no, non sono il tipo di cervo che condivide il cibo), iniziai a brucare l’erbetta. A questo punto vi chiederete: “dov’è la parte difficile in questa storia?”. Adesso. La parte difficile arriva adesso.

Stavo brucando beatamente l’erba vicino a quello che sembrava una specie di riparo per umani quando, spostando la testa verso un ciuffo d’erba particolarmente verde, mi sentii tirare dalla parte opposta. Pensai che probabilmente il mio palco (quello che voi chiamate per sbaglio corna) si fosse impigliato in un ramo che non avevo visto, perciò strattonai con più forza il ramo invisibile per liberarmi. Per un istante credetti di avercela fatta, ma mi sbagliavo: nel dare lo strattone l’altro mio palco si era impigliato in qualcosa di invisibile. A questo punto mi restava una solo cosa da fare: tirare con tutte le mie forze. E così iniziai a tirare e tirare e tirare, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a liberarmi.


video: C.A.N.C. Centro Animali Non Convenzionali Università di Torino


Ma la situazione era destinata a complicarsi ulteriormente, perché ad un certo punto, tra un tiro e l’altro, fiutai un odore famigliare: umani. Fu allora che capii di essere entrato in uno dei loro praticelli e che quello contro cui stavo combattendo non era un ramo, bensì una rete degli umani! Alla rabbia che provavo per essere bloccato si aggiunse la paura: gli umani sono pericolosi, sono peggio dei lupi: non hanno nemmeno paura dei miei pachi! Cercai tirare più forte e liberarmi ma ero esausto, a tal punto da non essermi accorto che uno di loro si era avvicinato. Mi resi appena che qualcosa, forse una mosca, mi aveva punto la coscia: ero esausto, ma mi sentivo anche leggero e mi venne una voglia improvvisa di farmi un pisolino.


video: C.A.N.C. Centro Animali Non Convenzionali Università di Torino

Da questo punto in avanti non ricordo molto, ricordo sicuramente l’odore degli umani intorno a me e ho un vago ricordo dei loro versi. Quando riaprii gli occhi, però, ero libero. Mi ci volle un attimo a capire dov’ero, chi ero e perché ero lì, intorno a me era tutto avvolto dalla nebbia e l’erba era di un verde stranamente verde. Dopo aver ripreso il controllo del mio corpo ed essermi rialzato, decisi di darmi una cauta occhiata in giro: gli umani erano spariti e io mi trovavo più in basso rispetto a dove mi ero addormentato. Feci qualche passo per essere certo di avere ancora le zampe e controllai meglio il posto in cui mi ero infilato: a terra, vicino al piccolo rifugio per umani dove ricordavo di essermi incastrato, c’era un pezzo di rete. Mi avevo liberato. Mentre dormivo devono aver tagliato la rete e poi mi hanno spostato per evitare che succedesse di nuovo. Non so come reagire: nel bosco una delle regole più importanti è “non fidarsi degli umani”, ma allora perché mi hanno liberato? Sarei stato una facile preda per chiunque, soprattutto per loro…

video: C.A.N.C. Centro Animali Non Convenzionali Università di Torino



Questa, è la mia storia. Capite perché la vita di un cervo (maschio) è difficile? Non puoi neanche brucare un po’ d’erba fresca in santa pace senza rischiare di rimanere incastrato con i pachi in qualche rete degli umani! Io sono stato fortunato, però, gli stessi umani che hanno lasciato incustodita quella rete mi hanno liberato, permettendomi di tornare nei miei boschi. Credo che alcuni di loro non siano così male, dopotutto, se hanno aiutato me, avranno aiutato anche altri animali, no? Chissà, magari ci sono umani che vanno in giro per i boschi ad aiutare animali feriti o in difficoltà. Sarebbe bello se fosse così! Adesso, però, io vado, la merenda mi aspetta!







foto: C.A.N.C. Centro Animali Non Convenzionali Università di Torino


Le attività di recupero su campo, il "Salviamoli insieme..on the road" svolte dal C.A.N.C. sono effettuate su incarico di Città Metropolitana di Torino.
L'attività clinica presso il CANC,  il progetto "Salviamoli insieme", è invece nell'ambito di una convenzione sempre con Città Metropolitana di Torino.