martedì 7 novembre 2023

Scoiattolo


 

Nome scientifico: Sciurun vulgaris

  • Patouà della Val Germanasca: Eichirôl
  • Patouà di Pragelato: Itsitólë
  • Patouà di Bobbio Pellice: Îsirol

  • Patouà di Rore e Sampeyre: Beru
  • Patouà di Venasca: Berou sarvai
  • Patouà delle Valli di Lanzo (Mezzenile): Béra
  • Patouà della Valle Stura (Vinadio): Cheriol / Cherieul / Chirieul
  • Patouà della Val Maria (Celle Macra): Schiròl
  • Patouà della Val Gesso (Entraque): Squrieul
  • Patouà di Boves: Escuriöl. Esistono due forme di colorazione, una rosso-mattone  e l’altra marrone scuro a  volte tendente al nero. A Castellar e San Giacomo si dice ne esistano di due razze denominate rispettivamente “escuriöi di roche” (scoiattoli delle rocce con pelliccia scura) e “escuriöi ‘d y ärbu” (scoiattoli degli alberi con pelliccia più chiara). Anche questo simpatico roditore veniva mangiato essendo la sua carne “rusétta” (rossastra) ritenuta molto gustosa e tenera. Da alcuni era considerato migliore del coniglio. Considerato che lo scoiattolo quando si arrampica sugli alberi  gira dal lato opposto rispetto a colui che lo osserva (“u vira a l’encunträri”), un curioso sistema di caccia usato nelle nostre zone  consisteva nell’appostarsi sotto l’albero su cui l’animale si trovava, gettando poi dall’altro lato della pianta un ombrello o una giacca…. la bestiola spaventata, saltando veloce di ramo in ramo, cercava  rifugio fra i rami del lato opposto dell’albero, cioè proprio sopra il luogo dove si era appostato il cacciatore,  che, senza nessuna fatica lo abbatteva con una precisa fucilata.  Si poteva altresì andare a caccia anche con un accompagnatore che aveva il compito di attirare su di sè l’attenzione dello scoiattolo mentre il cacciatore appostato dietro un albero con  facilità poteva mirare e colpire l’animale.
  • Patouà di Elva: Beru

In francese lo chiamano écureuil roux

Modi di dire e proverbi del Bovesano*:

ardì mà n’escuriöl :  ardito come uno scoiattolo, aitante e in buona salute

cure mà n’escuriöl :  
correre come uno scoiattolo, correre a più non posso, agilmente e velocemente

lest (lindu) mà n’escuriöl :  
lesto come uno scoiattolo, persona veloce e agile, dinamica

ndò mà n’escuriöl :  
andare come uno scoiattolo, correre veloce
sautò mà n’escuriöl :  saltare come uno scoiattolo

* tratto da “Bestie, bestiétte, bestiäs”, di  Delpiano Franco e Giuliano Fausto, edizioni Primalpe, Boves, dicembre 2002

Marmotta

 



Nome scientifico: Marmota marmota

  • Patouà della Val Germanasca: Murèt
  • Patouà di Pragelato: Marmòttë
  • Patouà di Bobbio Pellice: Muret
  • Patouà della zona collinare di Luserna San Giovanni e Bricherasio: Marmota

  • Patouà di Rore e Sampeyre: Marmoto
  • Patouà di Venasca: Marmota
  • Patouà della Valle Stura (Vinadio): Marmotto
  • Patouà della Val Gesso (Entraque): Marmottè
  • Patouà di Boves: MarmotaEra  anche comunemente mangiata in “fricò” (in umido con le patate) o cotta allo stesso modo di come si cucina il coniglio. Se ne ricavava inoltre il “gräs marmota” o “öli et marmota” (grasso di marmotta o olio di marmotta) unguento particolarmente utile per  slogature, strappi muscolari, artriti, dolori reumatici, ecc…  Per ottenerlo l’animale veniva posto in un paiolo dopo averlo scuoiato senza acqua né alcuna altra sostanza. Il calore in breve faceva sciogliere il grasso accumu­lato che restava tutto sul fondo e quando per il calore incominciava a tra­sformarsi in olio liquido lo si vuotava un po’ per volta in una bottiglia. Al termine dell’operazione si poteva poi togliere dalla pentola  l’animale pulito senza più un filo di grasso attaccato. L’olio così ottenuto (2 o 3 hg in media per ogni esemplare adulto) veniva poi anche venduto alle farmacie anche a 5 lire l’etto in quanto era molto ricercato. Bisognava però fare attenzione a non ungersi con tale olio in caso di rotture degli arti perchè non si guariva più, in quanto essendo molto emolliente non lasciava più saldarse insieme le due parti dell’osso fratturate. Questo olio era ritenuto così fine tanto da ritenere potesse filtrare persino attraverso il vetro dei contenitori; in tempo di guerra veniva usato per alimentare le lampade ad olio.
  • Patouà di Elva: Marmot

In francese lo chiamano Marmotte

Modi di dire e proverbi del Bovesano*:

dörme mà na marmota : dormire come una marmotta

gräs mà na marmota :  
grasso come una marmotta
 
Proverbi
Gnènt per gnènt la marmota bäla gnènt!
(senza una giusta ricompensa la marmotta non balla)

* tratto da “Bestie, bestiétte, bestiäs”, di  Delpiano Franco e Giuliano Fausto, edizioni Primalpe, Boves, dicembre 2002

Lepre

 


Nome scientifico: Lepus europaeus

  • Patouà della Val Germanasca: Lèoure
  • Patouà di Pragelato: Lhàourë
  • Patouà di Bobbio Pellice: Lèoura
  • Patouà della zona collinare di Luserna San Giovanni e Bricherasio: Leu

  • Patouà di Rore e Sampeyre: Leure
  • Patouà di Venasca: Leu
  • Patouà delle Valli di Lanzo (Mezzenile): Lévra
  • Patouà della Valle Stura (Vinadio): Lèbre
  • Patouà Val Maria (Celle Macra): Lèoure
  • Patouà della Val Gesso (Entraque): Lievrè
  • Patouà di Boves: LeuEra usanza di alcuni cacciatori di quei tempi di appostarsi alle lepri al chiarore della luna nei coltivi di segale e “gragn bertun” (varietà  di grano a semina primaverile), in certi casi seminati apposta anche per tale scopo. Attualmente non ci sono dati per stabilire se esistono ancora esemplari appartenenti ai gruppi autoctoni o se ci  siano solo più soggetti che ogni anno vengono rilasciati per fini venatori. E’ specie cacciabile. Alcuni ritengono che la vera lepre potesse avere per ogni nidiata un solo leprotto. Un tempo per essere certi della presenza della lepre in un determinato luogo, era sufficiente conficcare un paletto in mezzo ad un prato, l’animale, di indole estremamente curiosa, la notte stessa sarebbe andato a defecargli vicino.
  • Patouà di Elva: Leure

In francese lo chiamano Lièvre

Modi di dire e proverbi del Bovesano*:


avé y örìe drite mà na léu :  avere le orecchie dritte come la lepre, stare sul chi va là, stare in guardia pronto a darsela a gambe levate

ciapò la léu au giäs :  prendere la lepre al giaciglio, cogliere di sorpresa qualcuno

cure mà na léu :  correre come una lepre, correre a perdifiato, a gran velocità

fò u sogn (u sognat) ‘d la léu : fare il sonnellino della lepre, essere pronti a fuggire, dormire con un occhio solo pronti a svegliarsi e scappare

lest mà na léu :   veloce come una lepre

ndò mà na leu :  andare come una lepre, andare a gran velocità

sautò mà na léu :   saltare come una lepre, fare grossi balzi

stò cugn y ürìe drète :  stare con le orecchie ritte, pronto alla fuga, stare sul chi va là

tension, ciapi la léu ! :  attenzione prendete la lepre !, modo di dire quando si arrivava a falciare gli ultimi steli d’erba di un prato…. dove probabilmente poteva trovare il suo ultimo rifugio la lepre

* tratto da “Bestie, bestiétte, bestiäs”, di  Delpiano Franco e Giuliano Fausto, edizioni Primalpe, Boves, dicembre 2002

Volpe




 Nome scientifico: Vulpes vulpes

  • Patouà della Val Germanasca: Voùëlp
  • Patouà di Pragelato: Volp
  • Patouà di Bobbio Pellice: Vourp
  • Patouà della zona collinare di Luserna San Giovanni e Bricherasio: Voulp

  • Patouà di Rore e Sampeyre: Vurp
  • Patouà di Venasca: Vourp
  • Patouà della Valle Stura (Vinadio): Vourp
  • Patouà Val Maria (Celle Macra): Voùlp
  • Patouà della Val Gesso (Entraque): Voulp
  • Patouà di Boves: VurpA parte durante il periodo riproduttivo conduce vita solitaria abitando cavità naturali e tane scavate da lei stessa o dal tasso. Per questo motivo si dice che “vurp e tasun vagn d’ensèm” (volpe e tasso si trovano sovente vicini uno all’altro). Il momento della sua uscita dalla tana alla ricerca del cibo si ritiene che sia alla sera quando si ode il grido dell’allocco. Di solito è attiva di notte ma sono numerosi i casi di predazione di galline nei cortili delle case di montagna anche in pieno giorno. In tal caso l’animale usa tutte le cautele possibili per avvicinarsi all’abitazione e si dice si muova “cugn la tripa a rabèl” (con la pancia che striscia sul terreno). Per fare efficacemente gli appostamenti alla volpe occorreva essere perfettamente a conoscenza delle sue abitudini e caratteristiche. Il maschio generalmente è più grosso e più bello della femmina e con il colore della pelliccia più rossastro. La femmina d’altro canto risulta più “visiärda” (scaltra) ed è molto più guardinga e diffidente; si avvicina all’esca sempre con grande circospezione (molto maggiore di quella del maschio) e al minimo segno di pericolo fugge per non tornare più. Anche se venivano usati gatti morti e, a volte, galline morte, l’esca  per eccellenza era generalmente costituita dalle spoglie di un cane: queste costituivano un’irresistibile attrazione per le volpi solamente quando iniziavano a putrefarsi. Una volta allestita l’esca, legando solitamente con un filo di ferro ad una pianta il corpo del cane morto, si doveva evitare poi di andarla a controllare altrimenti la volpe si insospettiva dell’andirivieni e non si avvicinava più. Si doveva poi anche tenere conto di come spirava il vento: solitamente le volpi erano un tempo, frequenti nella zona montana (dai 700 metri in su – se ne potevano trovare anche fino alla quota di Brich Costarossa a 2400 metri s.l.m. – mentre oggigiorno sono presenti soprattutto nelle zone di pianura e collina) da cui scendevano a valle la sera e la notte alla ricerca di cibo. Considerato che “l’äria suräna”  (il vento di monte) in quelle ore della giornata spira sempre verso valle era più semplice per il cacciatore appostato evitare di farsi sentire dal fine fiuto della volpe. Quando invece, al mattino, spirava “l’äria sutäna” (brezza che dalla pianura spira verso la montagna) la volpe poteva sentire l’odore dell’uomo e non avvicinarsi all’esca. Quando essa sente l’odore di qualche nemico (uomo o animale) o di qualche preda si dice nel bovesano che “a pìa näs”. Altri metodi ancora consistevano nel seguire la traccia lasciata dalle sue  impronte (“la peòo”) oppure nell’uso di apposite trappole chiamate col termine di “casiot” (cassetta) oppure con l’uso di “grif” (tagliole) o “läs” (lacci costruiti con fili dei freni delle biciclette) piazzati lungo i tragitti normalmente percorsi dalle volpi (“ent’i pasäge”, nei passaggi); solitamente in questi casi gli animali che vi andavano a finire dentro quasi esclusivamente esemplari giovani, perchè le volpi vecchie erano trop visiärde (troppo furbe e smaliziate) per andarea ficcaarsi in trappola da sole. Se inseguita, nel caso le sia impossibile fuggire attraverso una delle tante uscite della sua tana, essa può restare rintanata anche per 9-10 giorni di fila senza uscire. Per tentare di farla uscire si ricorreva all’ “éstübera”, cioè all’affumicamento della tana usando erbe secche (soprattutto bertiaule, felci). A partire dal dopoguerra venivano anche catturate con l’ausilio di “bucun” (bocconi-esca) avvelenati con fiale di cianuro. Abbaia anche emettendo dei “giap” (latrati) singoli, intervallati nel tempo uno dall’altro. Pare sia più veloce nella corsa rispetto ai cani. Un cane da lepre  “se u pìa l’udù et la vurp” (se fiuta la traccia della volpe) la segue preferendola a quella della lepre .  Si ritiene inoltre che abbia il potere di incantare le galline che sono a dormire sul trespolo (“a giuch”) semplicemente guardandole dal basso, cosa questa in grado di indurle a scendere dal posatoio diventando facile preda del predatore. Da questa credenza è derivato il modo di dire bovesano “u farìa calò i galine da giuch” (farebbe discendere le galline dal trespolo) indicante una persona visci­da ed adulatrice  che riesce sempre a convincere gli altri  facendogli fare ciò che vuole lui anche se ciò è contro i loro stessi interessi. Si ritiene anche che sia in grado di catturare gli scoiattoli quando li sorprende al suolo mentre non la si ritiene in grado di predare le lepri in quanto non ne avverte la traccia odorosa lasciata sul terreno. Sono in molti poi a sostenere che un tempo esistevano due razze distinte di volpi: quella  “nurmäl” (normale) o “rusa” (rossa) e quella “carbunera”. Quest’ultima varietà deriva il suo nome dal fatto che era solita frequentare le carbonaie ed anche dal colore più scuro della sua pelliccia. In inverno il pelo di questa specie diventa “argentä” (argentato) cosa che rendeva la sua pelliccia molto ricercata e pagata con cifre due o tre volte superiori rispetto a quelle della volpe comune. La coda di questa varietà di volpe aveva un “masun”  (ciuffo terminale) articolarmente grande e di colore argenteo. Il pelo delle volpi, in particolare di quelle identificate come “argentate”, “fürisìa” (fioriva, diventava cioè particolarmente morbido folto e lucente) in autunno ed inverno; cominciava a  “desfürì” (sfiorire) diventando meno bello e lucente trascorso il mese di febbraio. Un tempo la volpe uccisa veniva “plò a sach” (pelata a sacco)  mediante l’effettuazione di un piccolo taglio da cui si estraevano le interiora, la carne e le ossa, lasciando pressochè integra la pelliccia, che veniva poi riempita di paglia di segale ed appesa nel fienile di casa.  Solo successivamente si iniziarono a scuoiare le volpi ed a far  seccare le pelli inchiodandole ben tese ad un asse di legno. Le pelli venivano comprate per realizzare i “colat di paltò” (i colletti dei cappotti). Nel periodo antecedente la seconda guerra mondiale una pelle di volpe valeva circa 230-240 lire, mentre una pelle di “vurp argentò” (vope argentata) costava, mediamente, anche 150 – 200 lire in più. In quegli anni Giän Bruchign, noto cacciatore di Castellar, con la vendita di una di queste pellicce  ricavò 400 lire, somma che gli permise di comprarsi il suo primo fucile a cartucce, che andò a sostituire l’ormai logoro “füzil a pistun” (fucile ad avancarica). Si ritiene che la volpe abbia il potere di enchentò i galine cura sun a giuch (incantare, ipnotizzare le galline quando sono appollaiate sul trespolo a dormire) semplicemente guardandole dal basso, e di indurle a scendere dal posatoio, diventando così facile preda.
  • Patouà di Elva: Vulp

In francese lo chiamano Renard

Modi di dire e proverbi del Bovesano*:


Modi di dire:


caud mà na vurp :  
caldo come una volpe

èse na vurp :  
essere una volpe, essere un furbacchione

furb mà la vurp :  
furbo come la volpe

mengiò pagn e vurp :  
mangiare pane e volpe, aver bisogno di un po’ di intelli­genza e di furbizia per essere come tutte le altre persone

smiò la vurp en la täna :  
assomigliare alla volpe nella tana, abitare in preca­rie condizioni di igiene e pulizia, abitare in un tugurio

u farìa calò i galine da giuch :  
farebbe scendere le galline dal trespolo, indica una persona viscida e adulatrice, che riesce sempre a convincere gli altri facendogli fare ciò che desidera lui

visiärd mà la vurp :  
smaliziato  come la volpe, estremamente furbo
vurp veia :  volpe vecchia, persona astuta, con esperienza

 
 
Proverbi:
Cant la vurp pöl gnènt avé la galina dì ca l’è mara….
(quando la volpe non può avere la gallina dice che è magra)
 
La vurp pard u pel ma gnènt u visi !!
(la volpe perde il pelo ma non il vizio… i difetti non si perdono mai)
 
La vurp veya vä pé au casiòt !
(la volpe vecchia non và più in trappola… cioè chi non si è sposato da giovane difficilmente andrà a cacciarsi nella  trappola del matrimonio quando è avanti con gli anni).

* tratto da “Bestie, bestiétte, bestiäs”, di  Delpiano Franco e Giuliano Fausto, edizioni Primalpe, Boves, dicembre 2002

Lupo


 

Nome scientifico: Canis lupus

  • Patouà della Val Germanasca: Loup
  • Patouà di Pragelato: Loup
  • Patouà di Bobbio Pellice: Loup
  • Patouà della zona collinare di Luserna San Giovanni e Bricherasio: Lou

  • Patouà di Rore e Sampeyre: Lup
  • Patouà di Venasca: Loup
  • Patouà delle Valli di Lanzo (Mezzenile): Lu
  • Patouà della Valle Stura (Vinadio): Loup
  • Patouà Val Maria (Celle Macra): Loup/lua/luva/luopa
  • Patouà della Val Gesso (Entraque): Loup
  • Patouà di Boves: Fra le credenze più diffuse nel bovesano riguardanti questo animale, una particolarmente interessante è quella che ritiene che in ogni nidiata la lupa faccia oltre i lupacchiotti anche un cane lupo. Poi lo uccide e per poterlo riconoscere dagli altri li porta tutti a bere: i lupacchiotti come tutti i lupi succhiano l’acqua “söli” (in modo liscio, come fanno anche le mucche ad es.) mentre il cane-lupo la “lapa” come fanno i cani, a brevi sorsi, e perciò è facilmente riconoscibile; a Castellar, a quanto si dice, uno di questi cani lupo preleva­ti da una nidiata di lupacchiotti uccise la serva del parroco. Altra caratteristica riconosciuta da tutti è quella della “rigidità” del lupo: si dice che questo animale sia particolarmente dür (rigido e “legato” nei movi­menti), questo a causa del fatto avrebbe  il “restèl et l’eschìna” assai poco snodato che non gli permetteva di girare indietro la testa, ragion per cui  per guardare indietro doveva girarsi con tutto il corpo. C’era anche chi assicurava che se si fosse riusciti ad agguantarlo nella parte posteriore egli non sarebbe riuscito a difendersi né tantomeno a mordere e lo si poteva facilmente catturare. Questa caratteristica è anche alla base della convinzione che “u lù fä la träsa drita” (il lupo fa la traccia diritta, rettilinea). Si sostiene pure che un tempo le finestre delle case di montagna venivano realizzate di piccole dimensioni a protezione dai suoi assalti. Quando si andava “en vìe” (a vegliare nelle stalle) un tempo, i viëu (veglianti) portavano sempre con sè torce di “canavöi” (fibre di scarto della canapa) accesi perché, come tutti gli animali selvatici, il lupo teme il fuoco. Le leggende  e le vicende ed i racconti più o meno veri ed attendibili su questo temuto animale fioriscono anche da noi e sono presenti un po’ in tutte le frazioni bovesane. Fra le più narrate si ricordano le seguenti: un uomo salì in inverno in Bisalta per portare a valle un carico di fieno con una “trusa”, quando arrivato al fienile l’uomo ebbe la sgradita sorpresa di trovarvi un lupo coricato sopra…. non potendo scappare l’uomo affrontò l’animale e riuscì infine ad ucciderlo, ma a causa dello spavento avuto dopo sette o otto giorni morì anche lui. A San Giacomo si racconta che intorno al 1840-1850 in zona “Cerezole” nel tardo autunno, quando ormai era ora di ridiscendere a valle le mucche, il margaro si ritrovò improvvisamente col vecchio padre gravemente ammalato. Quella stessa notte un branco di lupi si avvicinò alla baita ed il margaro barricatosi dentro la costruzione col padre morente, resistette all’assedio dei lupi accendendo numerosi fuochi tutto attorno. Nella parte alta della “Rocarina”  l’impervio versante  posto di fronte all’abitato della frazione, un gruppo di cacciatori bovesani  era solito andare ad appostarsi ai lupi (“vardò i lù”) per cercare di abbatterne qualcuno con un preciso colpo di fucile ad avancarica. Una notte il gruppo fu spettatore del passaggio di una “cravara” (un branco) di lupi, cosa che li riempì di grande spavento e fece cessare per sempre gli appostamenti notturni in tale zona della valle Colla. Nella zona di Castellar si raccontano pure  ancora alcuni episodi  che hanno per protagonista il lupo. Uno è quello in cui fu coinvolto “Gèpu ‘d Dreign” un montanaro della Valle Fredda. Una sera d’inverno sul finire del secolo scorso, mentre rientrava da una serata di veglia percorrendo “Via Suräna” (altro termine locale con cui è conosciuta  “Via Grima”) sentì poco lontano dal sentiero lo scricchiolio della neve ghiacciata che si rompeva sotto il peso dei passi di un grosso animale. L’uomo affrettò il passo impaurito quando si accorse che si trattava di un lupo e che si stava avvicinando sempre di più….. finchè, provvidenzialmente, passando accanto ad un cespuglio “l’armonich”  (l’organetto) che l’uomo aveva con sè si impigliò in un ramo ed emise una lunga e sonora nota…. il lupo intimorito da quel suono strano ed inaspettato si fermò e ritornò sui suoi passi. Sempre in questa frazione, quella forse dove più di tutte sono presenti testimonianze sulla presenza di questo animale,  si ricorda poi un episodio in cui un uomo, ad inizio del secolo scorso,  venne assalita nel bovesano da un branco di lupi. L’uomo si difese vigorosamente, armato anche di un bastone munito di un “éstil” (stiletto, lunga lama tagliente inserita nel legno del bastone), ma dovette soccombere e di lui fu ritrovato solamente il mantello accanto ai corpi di 4 o 5 lupi uccisi. Vi è poi una serie di testimonianze di persone anziane che rievocano il passaggio di una lupa con i lupacchiotti presso la borgata “i Barai” verso la metà dello scorso secolo. Inoltre, nel luogo ancora oggi chiamato “la Lainga du Lù” (la lingua del lupo) nella parte alta del territorio frazionale, qualcuno sostiene  che un tempo si fosse scavata una grande “luera”  (trappola per la cattura dei lupi) ricoperta di frasche , rami e foglie. Altri informatori riferiscono che tale toponimo deriverebbe dal fatto che in tale luogo, nel secolo scorso, alcuni cacciatori spararono ad un branco di  lupi: uno di questi venne colpito da una fucilata che gli staccò di netto la lingua, ritrovata poi per terra ! Un altro racconto riferisce di un altro valligiano della Valle Fredda  che avendo scoperta la cucciolata dei lupacchiotti in località “Verdiola” (vicino al “Sar” lungo l’alto corso dello Josina), approfittando dall’assenza della madre si appropriò di uno dei piccoli. La lupa accortasi della mancanza di uno dei piccoli seguì le tracce dell’uomo che ebbe appena il tempo di arrivare a casa e barricarvisi dentro per sfuggire al’assalto della lupa inferocita. Un altro racconto riporta un fatto che sarebbe avvenuto alla fine dello scorso secolo a “Tèt Pér Paul” sempre in frazione Castellar.  In quei tempi i lupi erano ancora abbastanza numerosi e si doveva avere l’accortezza di portare con sé, la notte, una luce per tenerli lontano. Una sera in tale borgata un ragazzino chiese di poter uscire dalla stalla per andare a fare i suoi bisogni vicino al letamaio, in fondo al cortile della casa. Gli fu consentito di uscire a patto che tenesse con sè un tizzone acceso della stufa. Così fece, ma giunto in prossimità del letamaio venne aggredito da un lupo in agguato ed i genitori subito accorsi ebbero appena il tempo di vederlo sparire nella notte tra le fauci del lupo stringendo ancora in mano il tizzone acceso! Un’altra probabile versione dello stesso fatto riferisce invece che il ragazzino stava rincasando con per un lume un fascio di “canavöi” (residui di canapa) in mano quando venne assalito dal lupo…. la gente lo vide in bocca al lupo con nella mano ancora la torcia accesa ! Simile a questo fatto, sempre a Castellar si ricorda quando un lupo sbranò una “matetuna” (una ragazzina) di sette anni nei boschi soprastanti la borgata de “i Lärcia”, lasciando come quale segno del suo pasto una piccola manina della bimba…. Un altro episodio di questo ciclo narra di un lupo che, spinto dai morsi della fame, attaccò una scrofa ed i suoi maialini nella zona di “en Cumba”. La scrofa si difese con furore anche perchè aveva i piccoli da proteggere e….. il mattino se­guente il contadino che salì per accudire ai suoi animali ebbe la sorpresa di trovare i resti del lupo, letteralmente fatto a pezzi dal maiale ! Tutti i lupi avevano poi un particolare odio nei confronti dei cani dome­stici e se potevano non si lasciavano sfuggire l’occasione per ucciderli. Così si racconta che capitò una volta, nella zona della “Barmétta”, che un lupo che si era appostato seduto in una “sägna” in attesa dell’arrivo di un cagnolino, senza accorgerse­ne si trovò attaccato al suolo a causa dell’acqua che nel frattempo era conge­lata  per il gran freddo ! Restò praticamente  “gripä” (bloccato, “grippato”) sul posto e quando potè fuggire lasciò attaccato al terreno ciuffi di peli della sua coda !  Anche ai “Gina Sutagn”, grossa borgata poco a monte del centro frazionale, accadde un attacco ad un cane…. il povero animale inseguito dal lupo per porsi in salvo saltò attra­verso (la finestra rompendo il vetro) e atterrando direttamente sul letto nella stalla sotto gli occhi sbigottiti dei presenti. Un ultimo episodio legato a questa frazione ricorda la vicenda di un abitante dei “Meni”, grossa borgata vicino al torrente Colla: l’uomo, verso la fine dello scorso secolo, essendo salito sulle colline a prelevare delle fascine da un “fasiné” di sua proprietà, venne assalito da un lupo e cercò scampo sul cumulo di fascine. Da lassù cominciò a gridare aiuto ed accorsero in suo soccorso altri frazionisti presenti in zona che riuscirono ad uccidere l’animale. Il lupo venne squartato e nel suo ventre l’unica cosa trovata fu il nodo di una grossa corda di canapa, l’unica cosa che aveva mangiato; forse per questo, perchè spinto dai morsi della fame aveva assalito l’uomo ! Quest’ultimo, dal canto suo, restò a quanto si racconta, per quaranta giorni senza riuscire più a parlare a causa del grande spavento avuto. Più a valle, a Roncaia,  Tetto Molino Sottano in frazione, fino a non molti anni fa era ancora conservato un collare anti-lupo per cani. Il collare era interamente ricoperto di aguzze punte metalliche  e rappresentava un tempo una valida difesa per i cani soprattutto quelli adibiti alla custodia delle greggi. Infatti il lupo attaccava i cani domestici azzannandoli al collo. Anche in località “la Cioma”, sempre nel territorio di questa frazione, fu avvistato un lupo che però accortosi della presenza umana subito si dileguò. Per “Via di Gigutégn”  stradina che sale alle omonime borgate lungo il perimetro della ex Polveriera dei Cerati, un uomo fu attaccato da un lupo… L’uomo che in tasca aveva un lungo coltellaccio (“en sable”,  era opportuno e comune difatti nei tempi passati, secondo quanto si tramanda nel bovesano, che colui che si avventurava solo per i sentieri e le strade  collinari avesse sempre con sé una tale arma di difesa) si difese come potè riuscendo alfine a raggiungere la propria casa. Per lo spavento avuto però alcuni giorni dopo però morì ! un altro valligiano della zona dei Cerati teneva due mucche in una casa un po’ appartata nella zona del Pilone del Moro e dopo una leggera nevicata vide l’orma (“la peò”) del lupo. Con altri uomini armati di fucile seguì le impron­te  e dopo essersi appostati uno a “Crus di Chiri”, l’altro al “Brüzatà” ecc… l’uccisero guadagnandosi anche un cospicuo “tayòn” (taglia). Inoltre, la strada ed il pilone detti di “Ghémbaläsa”, appena all’uscita di Boves salen­do verso Rivoira, si ricollegano invece ad un episodio che ha quale protagonista il lupo. Anche in questo luogo una ragazza venne sbranata e del suo povero corpo rimase soltanto una gamba intatta (da cui il nome del luogo letteralmente “gamba lascia”). Si ritiene infatti che il lupo, come pure altri animali da preda, lascino sempre sul luogo dove uccidono e divorano la vittima una “märca” – un segnale – del loro pasto lasciando integra una parte del corpo……! Pure in frazione S.Mauro si conserva il ricordo di questo predatore: un  campo nella zona lungo il Colla è ancora adesso denominato “Lupino” o “u Camp Lupino” a seguito del fatto che si trovò una nidiata di lupacchiotti dentro una cavità del tronco di una grande e vecchia pianta di gelso. A Rivoira si ricorda il passaggio di una lupa con i suoi due lupacchiotti nella zona “Bané”/“Tèt Cumina” verso la fine del secolo scorso. Forse l’ultima cattura di un lupo nel nostro territorio è quella risalente al periodo compreso tra gli anni 1870 e 1880, quando in località “Prä du Söi” un esemplare venne ucciso da due cacciatori locali (uno dei Cerati e l’altro di Roncaia). Sempre in quegli anni si ricorda l’avvistamento di lupi in località “Cicciu éd Ghèta” (in frazione Cerati) : i due animali passarono uno per lato, a breve distanza, da due cacciatori appostati in una campo di segale per la caccia alle lepri. I due cacciatori colti da grande spavento se la diedero a gambe levate e non fecero mai più ritorno in tale zona per cacciare. E’ conosciuta infine la vicenda accaduta, non lontano dal nostro comune, a dei “limunèncc” (abitanti di Limone Piemonte): avendo individuato la tana di una lupa alcuni di essi decisero di andare a rubarle i cuccioli. Due o tre ardimentosi si recarono perciò sul luogo ed attesero pazientemente che la madre uscisse in cerca di cibo, poi uno di essi penetrò nella tana. La madre forse accortasi di qualcosa di anomalo rientrò però quasi subito evitando i due appostati fuori ed uccidendo l’incauto uomo. L’anno successivo i suoi compagni ritentarono l’impresa che stavolta ebbe successo e fruttò una nidiata di lupacchiotti che vennero venduti ad un circo. Per quanto riguarda il cane-lupo presente nella nidiata si cercò di addomesticarlo ma con scarsi risultati.
  • Patouà di Elva: Lup

In francese lo chiamano Loup

Modi di dire e proverbi del Bovesano*:


avé damènca ‘d cheicos parai mà u lù ‘d na sunäia :  
avere bisogno di (un qualcosa) come il lupo di un campanello, avere dei bisogni inutili, per cose di cui si può farne benissimo a meno

avé na fam da lù :  
avere una fame da lupo, avere una gran fame, essere terri­bilmente affamato

brau l’äs luvrä töt ! :  bravo hai sbaffato tutto come un lupo…. !

bütò la pèl du lù :  
mettere la pelle del lupo, sparlare di qualcuno facendogli ricadere addosso i sospetti per qualche malefatta

calò u lùu :  
scendere il lupo, scendere a valle gli ultimi rimasugli di fieno dai fienili di alta montagna

caut mà ‘n luot :  
caldo come un lupacchiotto

cuntò l’estoria di lù :  
contare la storia del lupo, menare per il naso, raccon­tare frottole senza mai dire la verità

do i feie en värdia au lù :  
dare le pecore in custodia al lupo, affidare un compito ad una persona sbagliata

dür mà u lù :  
duro come il lupo, rigido e poco snodato

endò a finì en bucca au lù :  
andare a finire in bocca al lupo, finire nelle braccia del nemico, cadere in trappola

èse en post da lù:  
essere un posto da lupi, detto di un luogo selvaggio e inospitale

fò na luäta : 
 mangiare molto, mangiare con gran appetito

funz mà la bucca du lù :  
profondo come la bocca del lupo, molto profondo

gräsa mà na lua :  
grassa come una lupa, grassa, tonda

la fam fä sorte u lù da la täna 
la fame fa uscire il lupo dalla tana, quando ci sono le giuste motivazioni tutto può succedere

l’äs vist u lù ? : 
 hai visto il lupo ?, come mai sei così spaventato? o così rauco ?

mengiò mà ‘n lù :  
mangiare come un lupo, mangiare in gran quantità

pärles du lù…. e u lù arüva !  : 
 parli del lupo…. ed il lupo arriva, si dice di quando si parla di qualcuno e questo appare come se fosse stato avvertito

scür (ner) mà la bucca du lù :  
scuro (nero) come la bocca del lupo, molto scuro, antro oscuro

se feise en lù t’arìa giä mengiä ! :  
se fosse un lupo ti avrebbe già mangiato, è li in vista, è solo lì da prendere e non lo vedi

tamp da lù :  
tempo da lupi, presenza di condizioni meteorologiche pessime

tene u lù per y örìe :  
tenere il lupo per le orecchie, essere padrone di una determinata situazione

u lù mengiarìa findia dumagn :  
il lupo mangerebbe perfino il domani o mangerebbe fino a domani, per indicare una fame insaziabile

vande la pèl du lù prima d’aveu masä’ ! :  
vendere la pelle del lupo prima di averlo ucciso, fare i conti senza l’oste



PROVERBI:
L’istä’ e l’ünvarn u lù e i giäri y ègn mäi mengèe….
(l’estate e l’inverno il lupo ed i topi non li hanno mai mangiati)
 
L’ünvarn u lù l’ä mäi mengiä’ !
(l’inverno il lupo non se l’è mai mangiato…. prima o poi arriva sempre)
 
U lù cant pöl gnènt avé la crava… dì che l’è mara !
(il lupo quando non può avere la capra, si consola dicendo che è magra cioè ci si consola dicendo che non ne valeva la pena!)
 
U lù l’è mort  per la gula
(il lupo è morto a causa della gola…. perchè troppo famelico)
 
U lù pard u pel ma gnènt u visi !!
(il lupo perde il pelo ma non il vizio… i vizi sono difficili da perdere)

* tratto da “Bestie, bestiétte, bestiäs”, di  Delpiano Franco e Giuliano Fausto, edizioni Primalpe, Boves, dicembre 2002