martedì 7 novembre 2023

Volpe




 Nome scientifico: Vulpes vulpes

  • Patouà della Val Germanasca: Voùëlp
  • Patouà di Pragelato: Volp
  • Patouà di Bobbio Pellice: Vourp
  • Patouà della zona collinare di Luserna San Giovanni e Bricherasio: Voulp

  • Patouà di Rore e Sampeyre: Vurp
  • Patouà di Venasca: Vourp
  • Patouà della Valle Stura (Vinadio): Vourp
  • Patouà Val Maria (Celle Macra): Voùlp
  • Patouà della Val Gesso (Entraque): Voulp
  • Patouà di Boves: VurpA parte durante il periodo riproduttivo conduce vita solitaria abitando cavità naturali e tane scavate da lei stessa o dal tasso. Per questo motivo si dice che “vurp e tasun vagn d’ensèm” (volpe e tasso si trovano sovente vicini uno all’altro). Il momento della sua uscita dalla tana alla ricerca del cibo si ritiene che sia alla sera quando si ode il grido dell’allocco. Di solito è attiva di notte ma sono numerosi i casi di predazione di galline nei cortili delle case di montagna anche in pieno giorno. In tal caso l’animale usa tutte le cautele possibili per avvicinarsi all’abitazione e si dice si muova “cugn la tripa a rabèl” (con la pancia che striscia sul terreno). Per fare efficacemente gli appostamenti alla volpe occorreva essere perfettamente a conoscenza delle sue abitudini e caratteristiche. Il maschio generalmente è più grosso e più bello della femmina e con il colore della pelliccia più rossastro. La femmina d’altro canto risulta più “visiärda” (scaltra) ed è molto più guardinga e diffidente; si avvicina all’esca sempre con grande circospezione (molto maggiore di quella del maschio) e al minimo segno di pericolo fugge per non tornare più. Anche se venivano usati gatti morti e, a volte, galline morte, l’esca  per eccellenza era generalmente costituita dalle spoglie di un cane: queste costituivano un’irresistibile attrazione per le volpi solamente quando iniziavano a putrefarsi. Una volta allestita l’esca, legando solitamente con un filo di ferro ad una pianta il corpo del cane morto, si doveva evitare poi di andarla a controllare altrimenti la volpe si insospettiva dell’andirivieni e non si avvicinava più. Si doveva poi anche tenere conto di come spirava il vento: solitamente le volpi erano un tempo, frequenti nella zona montana (dai 700 metri in su – se ne potevano trovare anche fino alla quota di Brich Costarossa a 2400 metri s.l.m. – mentre oggigiorno sono presenti soprattutto nelle zone di pianura e collina) da cui scendevano a valle la sera e la notte alla ricerca di cibo. Considerato che “l’äria suräna”  (il vento di monte) in quelle ore della giornata spira sempre verso valle era più semplice per il cacciatore appostato evitare di farsi sentire dal fine fiuto della volpe. Quando invece, al mattino, spirava “l’äria sutäna” (brezza che dalla pianura spira verso la montagna) la volpe poteva sentire l’odore dell’uomo e non avvicinarsi all’esca. Quando essa sente l’odore di qualche nemico (uomo o animale) o di qualche preda si dice nel bovesano che “a pìa näs”. Altri metodi ancora consistevano nel seguire la traccia lasciata dalle sue  impronte (“la peòo”) oppure nell’uso di apposite trappole chiamate col termine di “casiot” (cassetta) oppure con l’uso di “grif” (tagliole) o “läs” (lacci costruiti con fili dei freni delle biciclette) piazzati lungo i tragitti normalmente percorsi dalle volpi (“ent’i pasäge”, nei passaggi); solitamente in questi casi gli animali che vi andavano a finire dentro quasi esclusivamente esemplari giovani, perchè le volpi vecchie erano trop visiärde (troppo furbe e smaliziate) per andarea ficcaarsi in trappola da sole. Se inseguita, nel caso le sia impossibile fuggire attraverso una delle tante uscite della sua tana, essa può restare rintanata anche per 9-10 giorni di fila senza uscire. Per tentare di farla uscire si ricorreva all’ “éstübera”, cioè all’affumicamento della tana usando erbe secche (soprattutto bertiaule, felci). A partire dal dopoguerra venivano anche catturate con l’ausilio di “bucun” (bocconi-esca) avvelenati con fiale di cianuro. Abbaia anche emettendo dei “giap” (latrati) singoli, intervallati nel tempo uno dall’altro. Pare sia più veloce nella corsa rispetto ai cani. Un cane da lepre  “se u pìa l’udù et la vurp” (se fiuta la traccia della volpe) la segue preferendola a quella della lepre .  Si ritiene inoltre che abbia il potere di incantare le galline che sono a dormire sul trespolo (“a giuch”) semplicemente guardandole dal basso, cosa questa in grado di indurle a scendere dal posatoio diventando facile preda del predatore. Da questa credenza è derivato il modo di dire bovesano “u farìa calò i galine da giuch” (farebbe discendere le galline dal trespolo) indicante una persona visci­da ed adulatrice  che riesce sempre a convincere gli altri  facendogli fare ciò che vuole lui anche se ciò è contro i loro stessi interessi. Si ritiene anche che sia in grado di catturare gli scoiattoli quando li sorprende al suolo mentre non la si ritiene in grado di predare le lepri in quanto non ne avverte la traccia odorosa lasciata sul terreno. Sono in molti poi a sostenere che un tempo esistevano due razze distinte di volpi: quella  “nurmäl” (normale) o “rusa” (rossa) e quella “carbunera”. Quest’ultima varietà deriva il suo nome dal fatto che era solita frequentare le carbonaie ed anche dal colore più scuro della sua pelliccia. In inverno il pelo di questa specie diventa “argentä” (argentato) cosa che rendeva la sua pelliccia molto ricercata e pagata con cifre due o tre volte superiori rispetto a quelle della volpe comune. La coda di questa varietà di volpe aveva un “masun”  (ciuffo terminale) articolarmente grande e di colore argenteo. Il pelo delle volpi, in particolare di quelle identificate come “argentate”, “fürisìa” (fioriva, diventava cioè particolarmente morbido folto e lucente) in autunno ed inverno; cominciava a  “desfürì” (sfiorire) diventando meno bello e lucente trascorso il mese di febbraio. Un tempo la volpe uccisa veniva “plò a sach” (pelata a sacco)  mediante l’effettuazione di un piccolo taglio da cui si estraevano le interiora, la carne e le ossa, lasciando pressochè integra la pelliccia, che veniva poi riempita di paglia di segale ed appesa nel fienile di casa.  Solo successivamente si iniziarono a scuoiare le volpi ed a far  seccare le pelli inchiodandole ben tese ad un asse di legno. Le pelli venivano comprate per realizzare i “colat di paltò” (i colletti dei cappotti). Nel periodo antecedente la seconda guerra mondiale una pelle di volpe valeva circa 230-240 lire, mentre una pelle di “vurp argentò” (vope argentata) costava, mediamente, anche 150 – 200 lire in più. In quegli anni Giän Bruchign, noto cacciatore di Castellar, con la vendita di una di queste pellicce  ricavò 400 lire, somma che gli permise di comprarsi il suo primo fucile a cartucce, che andò a sostituire l’ormai logoro “füzil a pistun” (fucile ad avancarica). Si ritiene che la volpe abbia il potere di enchentò i galine cura sun a giuch (incantare, ipnotizzare le galline quando sono appollaiate sul trespolo a dormire) semplicemente guardandole dal basso, e di indurle a scendere dal posatoio, diventando così facile preda.
  • Patouà di Elva: Vulp

In francese lo chiamano Renard

Modi di dire e proverbi del Bovesano*:


Modi di dire:


caud mà na vurp :  
caldo come una volpe

èse na vurp :  
essere una volpe, essere un furbacchione

furb mà la vurp :  
furbo come la volpe

mengiò pagn e vurp :  
mangiare pane e volpe, aver bisogno di un po’ di intelli­genza e di furbizia per essere come tutte le altre persone

smiò la vurp en la täna :  
assomigliare alla volpe nella tana, abitare in preca­rie condizioni di igiene e pulizia, abitare in un tugurio

u farìa calò i galine da giuch :  
farebbe scendere le galline dal trespolo, indica una persona viscida e adulatrice, che riesce sempre a convincere gli altri facendogli fare ciò che desidera lui

visiärd mà la vurp :  
smaliziato  come la volpe, estremamente furbo
vurp veia :  volpe vecchia, persona astuta, con esperienza

 
 
Proverbi:
Cant la vurp pöl gnènt avé la galina dì ca l’è mara….
(quando la volpe non può avere la gallina dice che è magra)
 
La vurp pard u pel ma gnènt u visi !!
(la volpe perde il pelo ma non il vizio… i difetti non si perdono mai)
 
La vurp veya vä pé au casiòt !
(la volpe vecchia non và più in trappola… cioè chi non si è sposato da giovane difficilmente andrà a cacciarsi nella  trappola del matrimonio quando è avanti con gli anni).

* tratto da “Bestie, bestiétte, bestiäs”, di  Delpiano Franco e Giuliano Fausto, edizioni Primalpe, Boves, dicembre 2002

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